Mondo



Le armi micidiali del Medio Oriente sotto controllo degli enti di ricerca italiani.

Dopo l'11 Settembre l'America è più attenta a tutte quelle industrie private impegnate nella produzione di vestiario antibatteriologico ,bombe, aerei caccia bombardieri e a tutti quegli esperimenti scientifici universitari e di laboratori di ricerca coinvolti nel campo della difesa civile.
Le prime pagine dei giornali specializzati ed economici trattano l'argomento prevenzione, in questi giorni anche il popolare Usa Today mette in primo piano l'impegno del Pentagono per un progetto di June Medford, una biologa di Fort Collins in Colorado che cerca di modificare geneticamente delle particolari piante che fungono da rilevatori contro il gas nervino e l'antrace.
Il mondo si è mobilitato in una corsa per la prevenzione e il monitoraggio di eventuali attacchi terroristici. Quando si mette a punto una bomba, la stessa va provata facendola esplodere sotto terra e l'esplosione genera onde sismiche. Gli scienziati attraverso tecnologie sismologiche, infrasoniche e idroacustiche captano i segnali creati quando l'energia è rilasciata sotto forma di onde elatische.
L'analisi della forma delle onde permette di discriminare in modo inequivocabile i terremoti dall'effetto delle bombe e più in generale dagli esperimenti bellici.
Lo studio delle onde inoltre permette la localizzazione della fonte dell'energia rilasciata che potrebbe confermare un'avvenuta esplosione nucleare.

Stabilire il regime di verifica è un'attività chiave della commissione preparatoria dei paesi facenti parte del trattato per la messa al bando degli esperimenti nucleari (CTBTO), al quale l'Italia aderisce da vari anni.
La rete di sensori di monitoraggio (International monitoring system) sparsi sul globo e che forniscono, cercano ed evidenziano possibili esplosioni nucleari, nata nell'ambito e per gli scopi della CTBTO, l'Organizzazione internazionale che mette a punto il sistema globale di verifica, può fornire utili indicazioni anche per la prevenzione dei rischi naturali ed industriali.

Tali sensori sono collegati in tempo reale, tramite una rete di comunicazione satellitare che prende il nome di Global Communicator Infrastructure (GCI), ad un centro Internazionale Dati (IDC o International Data Center) sito in Europa nella città di Vienna, con il compito di raccogliere, elaborare e diffondere i dati a tutti i paesi dell'organizzazione stessa.

In Italia un gruppo di esperti dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia guidato dal Dott Massimo Chiappini, opera su mandato del Ministero degli Esteri, in collaborazione con la CTBTO, per controllare se sulla Terra e nel Medio Oriente in particolare, si effettuano esperimenti nucleari sotterranei.

Il Dott. Chiappini pone in evidenza i potenziali benefici provenienti da queste attività come il miglioramento del sistema di preavviso di maremoti, terremoti, tifoni, eruzioni vulcaniche utile soprattutto per gli Stati che manifestano un carente sistema di monitoraggio geofisico in questi settori.
Gli Stati partecipanti all'Organizzazione avranno accesso rapido ad informazioni su tali eventi nella loro regione ed informazioni anche di carattere globale.

Queste informazioni potranno inoltre essere utilizzate dagli stati per sfruttare al meglio le loro risorse naturali.

C.S. del 3 giugno 2003

Ufficio Comunicazioni Esterne
(Dott.ssa Sonia TOPAZIO)



GEOFISICA: TRIVELLAZIONI PER STUDIARE ORIGINE TERREMOTI

ROMA, 16 APR - La faglia sismica californiana di St.Andreas sarà perforata fino alla profondità in cui si generano i terremoti per studiarne la loro genesi. Un analogo progetto e' allo studio in Italia da parte dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia INGV per essere realizzato al confine tra Marche e Umbria, nella zona di Colfiorito colpita dai sismi del 1997-98. Questo progetto, insieme ai risultati delle ricerche sulle recenti eruzioni dell'Etna, Stromboli e delle maggiori aree sismiche italiane sono stati presentati da ricercatori dell'INGV ad un convegno svoltosi nei giorni scorsi a Nizza. Con la partecipazione di 10 mila studiosi delle scienze della Terra, il convegno ha coinvolto per la prima volta le tre principali organizzazioni mondiali della disciplina: la European Geophysical Society (AGS), l'American Geophysical Union (AGU) e l'European Union of Geosciences (EGU). Al convegno si e' parlato delle nuove tecniche d'indagine geofisica attualmente sviluppate in California, Giappone e Golfo di Corinto. Tali ricerche prevedono che la crosta terrestre venga perforata fino alle profondita' dove si originano i terremoti; qui vengono prelevati campioni di roccia dal piano di una faglia attiva per essere poi analizzati. Lo studio delle proprieta' chimico-fisiche di tali campioni e' un passo fondamentale per l'avanzamento delle conoscenze dei meccanismi che stanno alla base dei processi di generazione dei terremoti. I ricercatori italiani hanno lanciano una sfida per l'applicazione di questa idea sul nostro territorio dove Umbria e Marche, gia' al centro di numerosi progetti dell'INGV di studio e prevenzione, discussi proprio a Nizza, sarebbero adattissimi laboratori naturali. Tali ricerche prevedono la trivellazione del suolo fino a diversi chilometri di profondita'. In California, per esempio, il National Scientific Foundation e l'US Geological Survey hanno presentato un progetto chiamato 'SAFOD' che prevede di installare strumenti di rilevamento direttamente al di sotto della faglia di San Andreas. Questi strumenti collocati a tre-quattro km al di sotto della crosta, formano un osservatorio sotterraneo per monitorare i processi chimico-fisici che generano il terremoto, in questo modo si ottengono informazioni sulla composizione e le caratteristiche meccaniche delle rocce all'interno di una zona di faglia attiva. Le tecniche di perforazione sono le stesse impiegate dall'industria petrolifera: si procede per i primi 500 metri con un foro verticale che viene foderato completamente da tubi d'acciaio di un diametro di 66 centimetri (26 pollici) per poi passare ad un diametro piu' piccolo, regolandosi sempre con il cambiamento e la composizione del terreno man mano che prosegue la perforazione. La trivellazione prevista dal progetto Safod avverra' in due fasi: prima il lato orientale della faglia sara' perforato verticalmente. In un secondo momento, l'intera zona di faglia sara' trivellata orizzontalmente con turbine idrauliche, attraversando l'intera zona di faglia fino alle rocce indisturbate del versante est. I ricercatori dell'INGV stanno ideando un progetto simile per studiare la faglia che ha originato la sequenza sismica del 1997-1998 nella piana di Colfiorito, al confine tra Umbria Marche. La faglia e' lunga 12 km ed e' inclinata di 42 gradi e raggiunge la profondita' di circa 6 km. Proprio per questa sua inclinazione, si potrebbe procedere con una trivellazione a foro verticale, quindi tecnicamente piu' semplice e che permetterebbe di conoscere le caratteristiche dei fluidi e le proprieta' chimico-fisiche della zona mai rilevate in precedenza. I dati che si potranno ricavare potrebbero essere molto importanti per la
prevenzione del rischio sismico.

C.S. del 10 aprile 2003

Ufficio Comunicazioni Esterne
(Dott.ssa Sonia TOPAZIO)



SCIENZA E AFA

Alcuni studiosi di climatologia spaziale pensano che possano esistere relazioni tra siccità, piccole ere glaciali e anche tempo meteorologico e attività solare.
Probabilmente anche piccole variazioni della irradianza del Sole guidata dall’attività solare possono influenzare sensibilmente il nostro clima. Con buona probabilità anche il ben noto riscaldamento globale che i climatologi hanno riportato negli gli ultimi 150 – 200 anni, può essere in considerevole parte dovuto ad un aumento della radiazione solare; in sostanza le variazioni dell’attività solare hanno un’influenza sul clima della Terra, infatti sia la radiazione ultravioletta che l’irradianza solare totale aumentano con l’attività solare e questo oltre a contribuire al riscaldamento planetario può influenzare la formazione di nubi che trattengono il calore che la Terra disperderebbe all’esterno.
I direttori di ricerca Cesidio Bianchi e Antonio Meloni dell’Ist. Naz. di geofisica e vulcanologia ci spiegano che il Sole, l’unica stella del nostro pianeta solare, guida tutte le attività sul nostro pianeta e la variabilità della sua attività ha una notevole influenza sul clima della Terra.
Molti spettacolari fenomeni che hanno luogo sulla Terra vengono influenzati dal “ciclo delle macchie solari” che sono delle aree più fredde presenti sul Sole e che concentrano forti campi magnetici e appaiono più scure se osservate con il telescopio, queste aree possono vivere ore oppure mesi e seguono approssimativamente un ciclo undecennale .
L’attività solare è legata al numero delle macchie presenti sul disco solare; osservando le macchie si determina la durata del ciclo solare. Maggiore è la durata del ciclo minore è l’attività solare.
Una delle correlazioni recentemente trovata dagli studiosi è mostrata dalla variabilità della durata del ciclo solare, i circa undici anni in realtà sono solo un valore medio di lunghezza del periodo che oscilla tra gli 11,7 della metà dell’800 e i circa 10 dei nostri giorni, come ad indicare che un Sole più attivo corrisponde ad intervalli più brevi nella durata del ciclo delle macchie. Ad una aumentata attività corrisponde una maggiore temperatura media terrestre e viceversa.
Recentemente una legge regionale del Lazio ha istituito un Centro per lo studio della variabilità del Sole dove, insieme ad astrofisici dell’Osservatorio Astronomico di Roma, aderiscono ricercatori dell’INGV e dell’Università di Tor Vergata. I tre Enti metteranno in campo le sinergie necessarie per analizzare in termini quantitativi la variazione dell’irradianza solare e i fenomeni da essa prodotti sulla Terra anche in relazione al riscaldamento globale.

C.S. del 1 luglio 2003

Ufficio Comunicazioni Esterne
(Dott.ssa Sonia TOPAZIO)



La Ionosfera terrestre sarà influenzata dall’avvicinarsi del pianeta Marte?

Il prossimo 27 agosto il pianeta Marte sarà vicino alla terra come mai lo è stato negli ultimi 60000 anni , tra gli altri fenomeni che verranno studiati c’e’ il possibile effetto del pianeta sulla ionosfera terrestre.

La Ionosfera è quella parte dell’alta atmosfera terrestre che si estende da circa 60 ad oltre 1000 chilometri di quota ed è caratterizzata da una forte concentrazione di ioni ed elettroni liberi, generati principalmente dalla radiazione ultravioletta proveniente dal Sole.

Da alcuni giorni nei laboratori dell’ Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia il team di Fisica Ionosferica diretto dal Dott. Bruno Zolesi sta conducendo , in collaborazione con altre istituzioni scientifiche internazionali, una serie di radiosondaggi nella ionosfera per confermare se l’ avvicinarsi di Marte alla Terra potrà influenzare anche la Ionosfera, provocando variazioni periodiche nella sua densità.

Infatti circa 20 anni fa due ricercatori tedeschi , Harnischmacher e Rawer, osservarono deboli variazioni nelle caratteristiche densità della ionosfera terrestre, provocate dall’avvicinarsi di Giove e di Venere nonché dall’effetto combinato dei due pianeti.

Tale fenomeno fu scoperto mentre cercavano di descrivere l’ effetto gravitazionale della Luna sulla Ionosfera così come i già ben noti effetti di marea su tutta l’atmosfera ed ovviamente sul mare.

Per rilevare queste debolissime variazioni nei prossimi due mesi sarà misurata con grande accuratezza la densità elettronica della ionosfera terrestre attraverso speciali radar chiamati ionosonde.

C.S. del 25 agosto 2003

Ufficio Comunicazioni Esterne
(Dott.ssa Sonia TOPAZIO)



Lecci, querce e platani misurano l'inquinamento delle città

Come varia l'inquinamento nella nostra capitale? Ce lo possono dire le proprietà magnetiche delle foglie di alcuni tipi di alberi studiati in questi ultimi tre anni dai ricercatori dell'INGV, Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia. "E' stato osservato che le foglie delle piante sempre verdi, come la quercus ilex, presenta molte più alte intensità magnetiche che quelle di specie decidua come la specie dei platani, ma oltre alla suscettibilità magnetica, un'altra grandezza interessante è la cosìdetta magnetizzazione residua isotermica (IRM) che misura la magnetizzazione risultante dall'applicazione e successiva rimozione di un campo magnetico sul campione in esame", spiega Leonardo Sagnotti, un membro dello staff di ricerca. Dagli esperimenti è immediato osservare il legame tra proprietà magnetiche e fonti inquinanti. I valori osservati, infatti, diminuiscono all'aumentare con la distanza dalle strade. E' interessante notare che il metodo utilizzato è insensibile alle variazioni giornaliere degli inquinanti. Il metodo magnetico è pertanto utile per fornire una variazione del livello complessivo d'inquinamento su vaste aree della città e presenta i vantaggi di essere rapito e di basso costo.


C.S. del 10 settembre 2003

Ufficio Comunicazioni Esterne
(Dott.ssa Sonia TOPAZIO)



La grande tempesta solare

L’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia ha registrato presso il suo Osservatorio Geomagnetico di L’Aquila in data 29/10/2003 il probabile inizio di una tempesta geomagnetica. L’effetto è caratterizzato per ora da un impulso schematizzabile come una forte caduta e recupero del campo dell’ordine di 560 nT, iniziato alle ore 06h 12m UT e valore minimo raggiunto alle ore 06h 58m. Questo impulso ha comportato una temporanea variazione del valore della declinazione pari a circa 1 grado. La probabile tempesta che si sta sviluppando verra seguita dall’ INGV e altri comunicati seguiranno.


C.S. del 29 ottobre 2003

Dott. Antonio MELONI - Dirigente di ricerca dell'INGV di Roma



La grande tempesta ionosferica

L’ Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, nei suoi osservatori di Roma e Gibilmanna, ha registrato l’effetto ionosferico della violenta tempesta magnetica che ha interessato nelle ultime ore il pianeta come conseguenza dei fenomeni solari osservati nei giorni passati. La tempesta, iniziata verso le 6 del giorno 29, si è sviluppata nelle consuete fasi con un rapido aumento della densità elettronica nella ionosfera seguito da una forte diminuzione nelle ore successive. Durante la notte passata queste perturbazioni hanno causato notevoli difficoltà nei radiocollegamenti ad onde corte e nei sistemi di radioposizinamento satellitare (GPS). Tali inconvenienti si potranno verificare durante i prossimi due giorni mentre per un ritorno ad una ionosfera quieta si dovranno attendere 7- 10 giorni.


C.S. del 30 ottobre 2003

Dott. Bruno ZOLESI - Direttore dell'Unità Funzionale Geomagnetismo, Aeronomia e Geofisica Ambientale dell'INGV di Roma




SCIENZA E TECNOLOGIA: INGV E LE SCINTILLAZIONI IONOSFERICHE POLARI

L’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) ha recentemente installato nella stazione scientifica artica “Dirigibile Italia” del CNR un innovativo sistema denominato ISACCO (Ionosphere Scintillations Artic Coordinate Campaign Observations) per il monitoraggio delle scintillazioni ionosferiche. Tali fenomeni, caratteristici delle zone polari ed equatoriali, hanno una ricaduta applicativa e tecnologica molto forte, poiché sono in grado di corrompere i segnali Satellite-Terra. Le implicazioni che le scintillazioni ionosferiche possono avere sulla sicurezza dell’uso di nuove tecnologie è rilevante, basti pensare all’utilizzo di strumenti di navigazione satellitare nel traffico aereo e ferroviario ed al nuovo sistema satellitare europeo Galileo.
La stazione scientifica artica italiana è situata nelle isole Svalbard a NyAlesund, a 78°.9 di latitudine Nord ed è gestita fin dal 1996 dal CNR con il progetto Strategico Artico coordinato dal Network di ricerche polari del CNR, Polarnet (www.polarnet.cnr.it) che fa capo all’Ist. sull’inquinamento atmosferico. Per le osservazioni che i ricercatori dell’INGV si propongono di effettuare, la stazione scientifica rappresenta una situazione ideale sia per il supporto logistico che offre, ma, soprattutto, per la posizione. Infatti i fenomeni di scintillazione ionosferica sono molto frequenti sulle calotte polari e, poiché strettamente legati ai disturbi provenienti dal sole, particolarmente intensi in questo periodo di media-alta attività solare.
L’obiettivo scientifico dei ricercatori dell’INGV è quello di comprendere meglio i fenomeni fisici che danno luogo alle scintillazioni ionosferiche ma anche, nell’ambito della cosiddetta “Meteorologia Spaziale” (Space Weather), di realizzare dei modelli in grado di prevedere l’attenuazione o addirittura la perdita del segnale proveniente dai satelliti per darne l’allarme in tempo utile. Per raggiungere questo scopo è fondamentale l’accessibilità alle misure in tempo reale, e, da un sito così remoto, tutto ciò è possibile grazie ad internet ed alla tecnologia fornita dal servizio Reti di Comunicazione del CNR.
Il progetto ISACCO è stato presentato ufficialmente alla comunità scientifica e tecnologica internazionale nel recente congresso dal titolo ”Atmospheric remote Sensing using Satellite Navigation System” ( il Telerilevamento atmosferico mediante l’uso di sistemi di navigazione satellitare), organizzato dall’ESA (Agenzia Spaziale Europea), dall’ASI (Agenzia Spaziale Italiana) e dall’URSI ( International Union of Radio Science).
L’INGV e Polarnet si pongono come uno dei punti di riferimento per gli aspetti scientifico-applicativi correlati alle scintillazioni ionosferiche alle alte latitudini e parteciperanno alla stesura di un progetto di ricerca internazionale che si prefigge di realizzare una più ampia rete di osservazioni da stazioni a terra in entrambe le zone polari con il coinvolgimento di varie Università ed enti di ricerca europei e canadesi.

C.S. del 4 novembre 2003



Una componente geofisica dimenticata tra le fonti di gas serra

Il metano CH4, è uno dei maggiori gas serra responsabili dei cambiamenti climatici globali.
L’Intergovernmental panel on climate change (IPCC), l’organismo mondiale preposto alla valutazione dei fenomeni riguardanti il riscaldamento del pianeta Terra, fornisce una lista dei processi di emissione e assorbimento che contribuiscono al bilancio atmosferico del metano a scala globale.
Tale lista, sulla quale si basano varie decisioni e protocolli internazionali con implicazioni socio-economiche, come il protocollo di Kyoto, riporta sorgenti biologiche di metano, ovvero dovute ai processi bio-chimici naturali della vegetazione e di vari ecosistemi, e antropogeniche, ovvero dovute all’attività dell’uomo, in primo luogo attività agricola, trattamento e distribuzione dei combustibili fossili. Ad eccezione delle emissioni di metano dai gas idrati, diffusi nei sedimenti dei fondali marini delle aree petrolifere, nelle liste dell’IPCC non sono riportate altre sorgenti legate ai processi di degassamento naturale di metano dalla crosta terrestre.
Tuttavia recenti studi condotti dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) hanno evidenziato che l’emissione di metano della crosta terrestre è una componente non trascurabile delle attuali sorgenti naturali di gas serra. Una serie di studi iniziati nel 2001 in collaborazione con ricercatori americani e dell’est europeo stanno fornendo risultati sorprendenti: la crosta terrestre emette quantità di metano paragonabili, se non superiori, alle quantità emesse da alcune sorgenti biologiche e antropiche, come la combustione della biomassa (incendi), il ciclo vitale delle termiti, i processi biochimici in ambiente marino. Una stima recente suggerisce infatti una emissione globale di metano geologico dell’orine di almeno 40-60 milioni di tonnellate all’anno.
Tale stima si basa sui dati, acquisiti per la prima volta in assoluto nel 2001 da ricercatori dell’INGV, relativi alle emissioni di metano dai “vulcani di fango”, manifestazioni fredde della fuoriuscita spontanea di sedimenti, acqua e gas (metano) provenienti da serbatoi petroliferi profondi. Tali studi, condotti grazie ad un progetto scientifico finanziato dalla NATO, hanno permesso di definire la quantità di metano che fuoriesce naturalmente nelle maggiori manifestazioni metanifere d’Europa: i vulcani di fango della Romania, della Sicilia occidentale e del settore adriatico dell’Italia centrale. Inoltre, nel 2003 è stato possibile misurare per la prima volta i flussi di metano dai più grandi vulcani di fango del mondo, situati in Azerbaijan, in prossimità del Mar Caspio. I risultati di questi studi convergono nell’indicare una emissione media annuale compresa tra 100 e 1000 tonnellate di gas per km2. In tutte queste aree l’emissione di gas è strettamente legata a strutture tettoniche attive (Faglie) e sembra aumentare con l’attività sismica. Tale fenomeno è noto come degassamento di terremoto. A seguito di terremoti, i maggiori vulcani di fango si attivano ed eruttano violentemente enormi quantità di metano: in Azerbaijan alcune eruzioni hanno prodotto fino a centinaia di migliaia di tonnellate di metano in poche ore. In altre aree l’emissione di metano è testimoniata dai cosiddetti “fuochi perpetui”, fiamme che possono raggiungere il metro d’altezza e che si sviluppano naturalmente dal suolo a seguito di autocombustione del metano. Attorno ai fuochi perpetui l’emissione di metano è diffusa su vaste aree e l’immissione totale in atmosfera è notevole (dell’ordine di 0.1 kg per metro quadrato al giorno). Infine in aree di tettonica attiva in cui è nota la presenza di serbatoi profondi di idrocarburi, pur in assenza di manifestazioni di emissione, esiste un flusso diffuso e microscopico dal suolo, detto microseepage; tale flusso può esistere su aree molto grandi e quindi la quantità totale di gas in atmosfera può risultare notevole. A ciò si deve sommare il metano emesso dai fondali marini, che ospitano la maggior parte delle riserve petrolifere del pianeta.
I risultati pubblicati su riviste scientifiche internazionali, a seguito dell’attività condotte anche dall’INGV, suggeriscono chiaramente che i processi geofisici di degassamento della crosta terrestre costituiscono una fonte enorme di metano per l’atmosfera e rappresentano quindi una componente ancora dimenticata dal budget atmosferico dei gas serra.

C.S. del 11 novembre 2003



Una curiosità scientifica per scoprire forme di vita in ambienti estremi come l’Antartide.


Una collaborazione tra i ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) e il Prof. Ignazio Tabacco dell’Università di Milano, ha individuato in Antartide 14 laghi di piccola e media estensione, non rilevabili da foto satellitari, in un raggio di qualche centinaio di km dalla base italo francese di Dome Concordia detta anche Dome-C. A circa 1300 km dalla base italiana di Baia Terra Nova sulla costa occidentale del mare di Ross.
Il fisico Cesidio Bianchi, dirigente di ricerca del dipartimento di Roma 2 dell’INGV e la sua equipe di scienziati ha presentato al Programma Nazionale per le ricerche in Antartide (PRNA) un progetto per le indagini dei laghi sub glaciali al fine di portare una sonda nelle profondità di queste acque per il rilevamento e la caratterizzazione dei laghi e soprattutto per rilevare la presenza di microrganismi . Infatti dai carotaggi raccolti tutto farebbe pensare che in questi ambienti cosi particolari, sarebbero possibili nuove linee evolutive derivate da antichi microrganismi intrappolati durante i primi processi di glaciazione e sconosciute strategie di sopravvivenza. Si stanno anche studiando nuove ed originali forme di vita ospitate in queste remote profondità. Esse, ipoteticamente, potrebbero essere talmente specializzate, date le condizioni estreme e il totale confinamento dal resto del pianeta, che potrebbero essere addirittura pericolose per la biosfera.
La curiosità scientifica è tale che si stanno elaborando nuove strategie tecnologiche per approfondire l’affascinante ricerca.


C.S. del 12 novembre 2003

Ufficio Comunicazioni Esterne
(Dott.ssa Sonia TOPAZIO)