Ottavo meeting internazionale sulla geochimica dei gas

L’attività vulcanica non è fatta esclusivamente di tranquille colate di lava o di pirotecniche eruzioni di lapilli: si può manifestare anche e soltanto con emissioni di gas, vapori e altri liquidi a temperature più o meno alte. Alcune regioni in cui il vulcanismo è ormai estinto continuano ad essere caratterizzate, per millenni, da emissioni di gas e fluidi residui da bocche e fessure chiamate ‘fumarole’. Queste miscele si formano a causa delle infiltrazioni nel terreno di acque meteoriche che, venendo a contatto con le masse magmatiche ancora calde, si surriscaldano, migrando verso l’alto, e si arricchiscono delle sostanze contenute nelle rocce vulcaniche. I composti chimici che si riscontrano nelle fumarole sono soprattutto acqua, anidride carbonica, cloruri e solfati.
Questi aspetti particolari dell’attività vulcanica saranno trattati nell’ “8° Meeting Internazionale sulla geochimica dei gas”, che si svolgerà tra Palermo, Milazzo, le Isole Eolie e l’Etna dal 3 all’8 ottobre prossimo.
Il programma si aprirà il 3 ottobre con una relazione del professor Franco Barberi dell’Università di Roma Tre, sul ‘Rischio vulcanico nelle Isole Eolie’. Dopo due giorni di interventi presso l’aula conferenze della sede Ingv di Palermo (vedere il programma nella pag. : http://www.copernicus.org/ICGG8/index.html), le comunicazioni dei partecipanti continueranno il 6 e 7 ottobre a Milazzo, presso il Duomo antico, dove si parlerà anche di terremoti e degassamento naturale dei gas serra.
Ricco anche il calendario delle visite: il giorno 5 ottobre all’isola di Vulcano che ospita due vulcani attivi, ma a riposo da tempo: Vulcanello e Vulcano, detto anche La Fossa; quindi a Panarea, Lipari e ancora l’8 ottobre; per concludere, un’escursione al più grande vulcano attivo d’Europa, l’Etna.
Il workshop sarà caratterizzato dalla presenza di scienziati italiani e stranieri, Don Thomas, Università delle Hawaii, Honolulu, USA; Yuji Sano, Direttore dell’Ocean Research Institute di Tokyo, Boris Polyak della Russian Academy of Science solo per citarne alcuni.
“La geochimica dei fluidi si qualifica sempre di più come un potente strumento di monitoraggio non solo dell’attività vulcanica, ma più in generale della dinamica delle placche terrestri -spiega il direttore della sezione di Palermo dell' Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia ( Ingv) Rocco Favara- . Il monitoraggio geochimico dell’attività vulcanica si basa sul fatto che il magma, mano a mano che risale dalle profondità della Terra verso le bocche delle aree vulcaniche, cala di pressione e degassa. Gas vulcanici come l' anidride carbonica, l' elio, l' idrogeno, i composti dello zolfo e svariati isotopi, sono raccolti e misurati in superficie con appositi sensori, capaci di riconoscere anche poche particelle significative mescolate a un miliardo di altre. Si ottengono così informazioni sulle condizioni fisico chimiche del magma, sulle sue interazioni con le rocce attraversate, sulla sua energia, sulla sua vicinanza alle bocche eruttive”. E' stato proprio grazie ai precursori geochimici e allo sviluppo dei nuovi modelli termodinamici che gli studiosi hanno potuto preannunciare, con giorni di anticipo, alcune recenti eruzioni dei vulcani siciliani, come quella dello Stromboli del 2002 2003 e l' ultima «eruzione silenziosa» dell' Etna del 2004 2005.
Il congresso toccherà anche altre tematiche estremamente attuali come le relazioni tra fluidi e terremoti o l’emissione naturale di gas serra dal pianeta terra – dice l’organizzatore dr. Francesco Italiano – Tali tematiche saranno trattate per due intere giornate di comunicazioni e dibattiti presso il duomo antico di Milazzo, cittadine della costa nord della Sicilia “circondata” dalle aree vulcaniche e sismiche più attive d’Italia: isole Eolie a nord, Etna a sud, Stretto di Messina ad Est e Golfo di Patti ad Ovest.
Il risultato in termini di partecipazione al congresso ci rende particolarmente soddisfatti, dati i numeri che un congresso di nicchia come quello della geochimica dei gas è riuscito ad esprimere: oltre cento comunicazioni, 17 paesi rappresentati e la disponibilità di tre riviste internazionali a pubblicare gli atti del convegno.

Per maggiori info: Rocco Favara 091.6809401 Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
Franceso Italiano 091.6809411 Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.


Sonia Topazio
Capo Ufficio Stampa INGV
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C.S. del 30 settembre 2005


PREVISIONI DELLE CORRENTI MARINE PER IL MAR MEDITERRANEO

Come in meteorologia si fanno le previsioni meteorologiche, oggi è possibile produrre per il mare le previsioni oceanografiche.
Il Gruppo Nazionale di Oceanografia Operativa dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia è in grado di produrre previsioni delle correnti marine per l’intero Mar Mediterraneo e per il Mar Adriatico. Il sistema è stato sviluppato in progetti finanziati dalla Comunità Europea, dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e Ministero degli Affari Esteri. Le previsioni venivano fatte settimanalmente per i successivi 10 giorni, da Ottobre 2005 le previsioni vengono fatte ogni giorno per i 10 giorni successivi, in modo analogo a quanto viene fatto per le previsioni metrologiche che tutti quanti siamo abituati a utilizzare. Per il mare vengono previste le correnti, la temperatura e salinità dalla superficie fino al fondo del mare. Le previsioni sono accessibili sul sito www.bo.ingv.it/mfs dove ogni giorno viene pubblicato un bollettino aggiornato. Le previsioni per il Mare Adriatico sono a più alta risoluzione spaziale e sono disponibili sul sito web www.bo.ingv.it/adricosm.
La produzione delle previsione avviene utilizzando contemporaneamente tutti i dati disponibili sia da satellite che in situ e le simulazioni di un modello numerico. E’ così possibile prevedere la direzione e l’intensità delle correnti alle varie profondità, le variazioni di temperatura, del contenuto di sale e del flusso di calore all’interfaccia atmosfera oceano. Sono inoltre disponibili mappe dell’anomalia dei campi di temperatura e salinità rispetto alle medie tipiche del mese corrente per poter avere un riscontro immediato sulle eventuali anomalie del periodo considerato. Nel 2003 il sistema di previsioni oceanografiche dell’INGV è stato in grado di seguire le anomalie di temperatura della superficie del mare.
Come vengono prodotte le previsioni oceanografiche?
Si utilizza un modello numerico in grado di simulare i processi principali che guidano la dinamica dell’oceano e le simulazioni fatte col modello vengono poi corrette dalle informazioni che provengono dai dati o da satellite o presi direttamene in mare. Questo ci permette di avere una fotografia istantanea del Mare il più possibile vicino alla realtà per il giorno da cui si vuol cominciare a fare la previsione. Le previsioni vengono poi prodotte utilizzando il modello numerico che viene guidato alla superficie dai campi atmosferici provenienti dalle normali previsioni del tempo. Ogni giorno il ciclo si ripete e viene prodotta di nuovo un’istantanea il più accurata possibile dello stato del mare dal quale parte la previsione dei 10 giorni successivi.
I dati disponibili per il Mare sono sia dati da satellite, in grado di vedere la temperatura superficiale dell’acqua e di misurare l’innalzamento o l’abbassamento della superficie del mare dovuta alla distribuzione dei venti e della densità su tutta la colonna d’acqua. Il sistema di monitoraggio del mare prevede inoltre dati presi direttamene in mare come profili verticali di temperatura collezionati da navi cargo o traghetti. Un altro sistema di monitoraggio è offerto dalle boe ARGO che si spostano con la corrente a 350 metri di profondità e sono programmate per immergersi fino a una profondità programmata di 900 o 2000 metri, di campionare il profilo in verticale di temperatura e salinità e poi di trasmetterlo in tempo reale via satellite emergendo alla superficie. Nel Mare Mediterraneo al momento abbiamo 19 di queste boe funzionanti che coprono le differenti aree.
Sul sito web www.bo.ingv.it/mfs è possibile visualizzare anche quali e quanti di questi dati sono stati raccolti e utilizzati per fare la previsione. Il sistema di previsioni del Mare Adriatico raccoglie inoltre anche dati costieri di quali Temperatura e Salinità, i dati raccolti sono accessibili tramite il sito web www.bo.ingv.it/adricosm. La raccolta di dati in mare è estremamente problematica e grandi sforzi sono in essere per garantire un’adeguata copertura spaziale e temporale dei campionamenti. Gli utenti di questo sistema di previsioni sono fra gli altri le agenzie regionali per la protezione dell’ambiente, la marina militare, compagnie private per l’ingegneria costiera, industrie petrolifere e istituti di ricerca.

Per maggiori info:Giovanni Coppini
Tel: 051.4151442
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Today it is possible to forecast the ocean just as it has long been done for meteorological weather.
Ocean forecasts for the whole Mediterranean Basin and in detail for the Adriatic Sea are made by the National Operational Oceanography Group at the Italian National Institute of Geophysics and Volcanology. The forecasting system has been developed in the frame of projects funded by the EU, the Italian Ministry of Environment and Territory and the Italian Ministry of Foreign Affairs. Every day a new 10-day ocean forecast is produced giving information about surface to bottom current intensity and direction, temperature and salinity values. The forecast bulletin for the Mediterranean Basin is disseminated every day at the URL: www.bo.ingv.it/mfs, while the detailed forecast for the Adriatic Sea is disseminated once a week at the URL: www.bo.ingv.it/adricosm.
All the available in situ and satellite data together with a numerical model are necessary in order to produce the forecast. With this procedure is possible to forecast the current intensity and direction, temperature and salinity field variability and heat flux exchange between atmosphere and ocean. Maps of temperature and salinity field anomaly are available in the bulletin in order to understand the characteristic of the considered day with respect to the mean value for the current month better. In 2003 the INGV system was able to forecast the summer warming of the Mediterranean Sea surface water.
How is the ocean forecast produced?
The simulation of the ocean fields made by a numerical model is corrected by the insertion of the information from all the available data in order to have a better estimation of the present sea state. The numerical model is run for ten days starting from the present sea state and forced by the atmospheric forcing produced by the weather forecasting system. Every day the procedure is repeated in order to have the best estimation of the present state and then a new 10-day forecast is produced.
Satellite data are available for the Mediterranean Sea able to measure the sea surface temperature and the variation of the sea surface elevation due to wind action and to the density of the whole water column. The data collected at sea are vertical temperature profiles measured through instruments launched from cargo vessels or ferries. There are also data of temperature and salinity measured by ARGO buoys which drift with the current at a depth of 350m. This kind of buoy can be programmed to dive to 900 or 2000m in order to measure the temperature and the salinity, and then come back at the surface and transmit through a satellite system all the information. At present there are 19 of these buoys in the various basins of the Mediterranean Sea.
All the kinds of data collected for the current day forecast are shown on the web page of the bulletin: www.bo.ingv.it/mfs. Costal data of salinity and temperature are used by the Adriatic Sea forecasting system and are available on the web page: www.bo.ingv.it/adricosm.
Much effort is necessary to collect marine data with an adequate spatial and temporal coverage of the basin.
Amongst the users of the ocean forecast are environment protection agencies, the Navy, private coastal engineering companies, oil companies and research institutes.

For further information please contact: Giovanni Coppini
Tel. +39 051 4151441 - Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Sonia Topazio
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C.S. del 30 ottobre 2005


Catastrofi geofisiche future: lezioni dal passato

383 terremoti, 50 dei quali erano sconosciuti al mondo scientifico; 22 tsunami; 860 tra città e siti colpiti in 19 Paesi del Mediterraneo. Questa è la sintesi dei fenomeni sismici descritti nel nuovo catalogo dei terremoti e tsunami del Mediterraneo medievale (Catalogue of earthquakes and tsunamis in the Mediterranean area, from 11th to 15th century), secondo volume di 1037 pagine, della mastodontica opera realizzata da Emanuela Guidoboni e Alberto Comastri (il primo volume, pubblicato nel 1994, pp. 504, descriveva terremoti e tsunami dell'area mediterranea dall’VIII secolo a.C. al Mille d.C.).
La grande novità e il valore di questi due volumi é di mettere a disposizione della ricerca geofisica, ma anche storica, filologica e sociale, le antiche testimonianze sui disastri sismici nelle lingue e negli alfabeti originali (latino, greco, ebraico, arabo, siriaco...), e di darne un’interpretazione scientifica direttamente utilizzabile, attraverso parametri numerici e cartografia tematica.
"Questi due volumi forniscono un contributo di grande importanza per la sismologia storica del Mediterraneo – osserva il professor Enzo Boschi, presidente dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (INGV) – Sono i risultati di un progetto avviato da INGV e SGA (Storia Geofisica Ambiente, di Bologna), basato sulla consapevolezza che le scienze della Terra non conoscono confini nazionali e che quindi le grandi catastrofi geofisiche del passato devono essere studiate con riferimento all'intera area geografica coinvolta e nel lungo periodo". Vi é dunque un evidente aspetto interculturale nella ricerca geofisica, che gli autori di questa opera - già noti alla sismologia internazionale – hanno realizzato anticipando le ricerche suscitate dal terremoto e dallo tsunami indiano del 26 dicembre 2004, e dimostrando quanto la storia sia di cruciale importanza per conoscere e prevenire i disastri naturali.

Per maggiori info: Emanuela Guidoboni
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Three hundred and eighty-three earthquakes, 50 of which were unknown to the scientific world; 22 tsunamis; 860 cities and sites hit in 19 Mediterranean countries. This is a summary of the seismic phenomena described in the new Catalogue of earthquakes and tsunamis of the medieval Mediterranean area (Catalogue of Earthquakes and Tsunamis in the Mediterranean Area, from the 11th to the 15th century), the second volume consisting of 1,037 pages, of the monumental work put together by Emanuela Guidoboni and Alberto Comastri (the first volume, published in 1994, pp. 504, described the earthquakes and the tsunamis of the Mediterranean area from the 8th century BC to the year 1000 AD).
The major novelty and value of these two volumes is that of making available to geophysical research, as well as historical, philological and social research, the ancient testimonies of seismic disasters in the original languages and alphabets (Latin, Greek, Hebrew, Arabic, Syrian, etc.), and to provide a directly usable scientific interpretation, through numeric parameters and thematic cartography.
"These two volumes provide a massively important contribution to the historical seismology of the Mediterranean” states Professor Enzo Boschi, the President of the National Institute for Geophysics and Volcanology (INGV). “They are the result of a project started up jointly by INGV and SGA (History Geophysics Environment, based in Bologna), grounded on the awareness that the Earth Sciences do not recognise any national boundaries and that therefore the great geophysical catastrophes of the past must be studied with reference to the whole of the geographical area involved and over the long-term.” There is therefore an evident intercultural aspect in geophysical research that the authors of this tome – already well-known to international seismology circles – have developed, anticipating the research being performed in the wake of the Indian tsunami on 26th December 2004, and showing how crucially important History can be in recognising and even preventing natural disasters.



Sonia Topazio
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C.S. del 24 novembre 2005


EMISSIONI GEOLOGICHE DI METANO IN ATMOSFERA

Una componente geofisica dimenticata tra le fonti dei gas serra
In questi giorni a Montreal si parla di riduzione di gas serra nell’ambito del Protocollo di Kyoto.
Ma proprio in questi giorni e’ stato reso noto uno studio che sottolinea un imperdonabile omissione: il metano di origine geologica.
Il metano (CH4) è uno dei maggiori gas serra responsabili dei cambiamenti climatici globali. L’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), l’organismo mondiale preposto alla valutazione dei fenomeni riguardanti il riscaldamento del pianeta Terra, fornisce una lista dei processi di emissione e assorbimento che contribuiscono al bilancio atmosferico del metano a scala globale. Tale lista, sulla quale si basano varie decisioni e protocolli internazionali con implicazioni socio-economiche, riporta sorgenti biologiche di metano, ovvero dovute ai processi bio-chimici naturali di piante, animali e batteri, e antropogeniche, ovvero dovute all’attività dell’uomo (principalmente l'attività agricola e il trattamento e distribuzione dei combustili fossili). Le sorgenti geologiche, ovvero legate ai processi di degassamento naturale di metano dalla crosta terrestre, non sono considerate. Il motivo? Nessuno le aveva mai misurate, e sono state così considerate “trascurabili”.
Questo fino a qualche anno fa. Recenti studi condotti dall’INGV hanno evidenziato che l’emissione di metano dalla crosta terrestre è una componente non trascurabile delle attuali sorgenti naturali di gas serra. Una serie di studi coordinati da Giuseppe Etiope, geologo dell’INGV, iniziati nel 2001 in collaborazione con ricercatori americani e dell’est europeo, stanno fornendo risultati sorprendenti: la crosta terrestre emette quantità di metano paragonabili, se non superiori, alle quantità emesse da alcune sorgenti biologiche e antropiche. Una stima recente suggerisce infatti una emissione globale di metano geologico dell’ordine di almeno 40-60 milioni di tonnellate all’anno (contro una emissione totale annuale di 600 milioni di tonnellate). Cio' rappresenta la seconda sorgente naturale di metano, dopo le cosiddette "Terre umide" (le gradi paludi e acquitrini delle regioni boreali e tropicali; o "wetlands" per gli esperti del settore).
Le emissioni geologiche di metano si verificano principalmente nei bacini sedimentari delle aree petrolifere , attraverso i cosiddetti “vulcani di fango”, manifestazioni fredde della fuoruscita spontanea di sedimenti, acqua e gas (metano), e attraverso un invisibile ma diffuso degassamento dal suolo su vaste aree.
Gli studi sono stati condotti nelle aree petrolifere italiane (Sicilia occidentale, settore adriatico dell’Italia centrale) e dell’est Europeo (Romania). Nel 2003 un'equipe guidata dal Dott. Etiope ha misurato per la prima volta i flussi di metano dai più grandi vulcani di fango del mondo, situati in Azerbaijan, in prossimità del Mar Caspio. I risultati di questi studi convergono nell’indicare una emissione media annuale compresa tra 100 e 1000 tonnellate di gas per km2. In tutte queste aree l’emissione di gas è strettamente legata a strutture tettoniche attive (faglie) e sembra aumentare con l’attività sismica. Tale fenomeno è noto come “degassamento di terremoto” (earthquake degassing). A seguito di terremoti, i maggiori vulcani di fango si attivano ed eruttano violentemente enormi quantità di metano: in Azerbaijan alcune eruzioni hanno prodotto fino a centinaia di migliaia di tonnellate di metano in poche ore.
In aree particolari l’emissione di metano è testimoniata dai cosiddetti “fuochi perpetui”, fiamme che possono raggiungere il metro d’altezza e che si sviluppano naturalmente dal suolo a seguito di autocombustione del metano. Pur in assenza di manifestazioni superficiali, nelle aree petrolifere esiste comunque quasi sempre un flusso diffuso, “microscopico”, invisibile, dal suolo (detto “microseepage”); tale flusso può verificarsi su aree molto grandi e quindi la quantità totale di gas in atmosfera può risultare notevole. A ciò si deve sommare il metano emesso dai fondali marini, che ospitano la maggior parte delle riserve petrolifere del pianeta.
I risultati, pubblicati su riviste scientifiche internazionali, suggeriscono chiaramente che i processi geofisici di degassamento della crosta terrestre costituiscono una fonte enorme di metano per l’atmosfera e rappresentano quindi una componente ancora dimenticata del budget atmosferico dei gas serra.. E' stata nostra premura - commenta il Presidente dell’Ente, Enzo Boschi - informare di questo l'IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) affinche' possa correggere le proprie tabelle.
Tutto ciò ha un significato estremamente importante: nel bilancio atmosferico del metano, così come è stato riportato finora, c’è qualcosa che non va: l’atmosfera sembra avere più metano “fossile” (ovvero metano derivato dai combustibili fossili e quindi originariamente geologico) di quanto ne emetta l’uomo attraverso l’attività di estrazione, raffinazione e distribuzione degli idrocarburi. Esiste cioè una “sorgente mancante” (nota in letteratura come “missing source”) di metano fossile, a cui nessuno ha mai dato una spiegazione esauriente. Le nostre ricerche suggeriscono che questa sorgente mancante è proprio quella geologica naturale: le cifre sono esattamente quelle necessarie a colmare il buco del bilancio.
Gli Stati Uniti stanno iniziando solo ora a pubblicare risultati analoghi.
Le emissioni geologiche di metano rappresentano quasi il 10% delle emissioni totali. Si tratta di una nuova voce da inserire nelle tabelle delle emissioni globali dei gas serra.
I risultati sono stati pubblicati su:
Etiope G. and Klusman R.W. 2002. Chemosphere, 49, 777-789.
Etiope G., Caracausi A., Favara R., Italiano F., Baciu C., 2002. Geoph.Res.Lett., 29, 8, 10.1029/2001GL014340.
Etiope G., Caracausi A., Favara R., Italiano F., Baciu C., 2003. Geoph.Res.Lett., 30, 2, 10.1029/2002GL016287.
Etiope G., Baciu C., Caracausi A., Italiano F., Cosma C. (2004). Terra Nova, 16, 179-184.
Etiope G. and Milkov A.V., 2004. Environmental Geology, 46, 997-1002.
Etiope G., Feyzullaiev A., Baciu C.L., Milkov A.V. (2004). Geology, 32, 6, 465-468.
Etiope G. (2004). Atmospheric Environment, 38, 19, 3099-3100.
Etiope G. (2005). Annals of Geophysics, 48, 1-7.
Etiope G., Milkov A.V., Derbyshire E. (2005). Global Planetary Changes, in press.



Every year, the Earth is injecting into the atmosphere about 50 millions of tons of methane (CH4), which is 23 times more efficient at trapping heat than carbon dioxide. In other words, our planet helps man to increase the greenhouse gases in the atmosphere.
The discovery of this natural and geologic contribution is due to researchers of the Italian Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv) and it has been announced during the United Nations Climate Change Conference (COP 11 and COP/MOP 1; Montreal, Canada, 28 november – 11 december 2005).
“It is an important result which we have promptly communicated to the IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), in order to include these emissions in the next global methane emission inventory” says Prof. Enzo Boschi, president of INGV. “Our assessment of the amount of geological methane released from the lithosphere is the result of 5 years of field investigations and data review from various areas of the world” says Giuseppe Etiope, the geologist of INGV who coordinated the research. “So far, we have explored the main petroliferous areas of Europe and Azerbaijan, and we have observed significant fluxes of methane, from gas manifestations and from the soil, related to active faults, mud volcanoes and deep hydrocarbon reservoirs”.
These data are going to be included in the next European emission inventory (EMEP/CORINAIR), through a report commissioned by the NATAIR project, aimed at refining our knowledge of natural greenhouse gas sources. A first global estimate suggests that geological methane emission (50 millions tonnes per year) is of the same level of or higher than other sources or sinks considered in the IPCC inventory, such as biomass burning (40), termites (20), oceans (10), soil uptake (30). In terms of CO2-equivalent, the geological source would correspond to the emission of more than 200 millions cars.
“It represents the second most important natural methane source, after wetlands” says Etiope “and is about 14% of anthropogenic emissions; but it has never been considered adequately in the global inventories”.
These results show that geological sources, strictly controlled by geodynamic and tectonic processes, are not a minor source, as generally assumed in the past, but have a primary role in the atmospheric greenhouse-gas budget, and cannot be disregarded anymore in the next IPCC assessment reports.
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Sonia Topazio
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C.S. del 29 novembre 2005


GEOLOGICAL SEQUESTRATION

Montreal, Dicember, 2005
The National Institute of Geophysics and Vulcanology of Rome, Italy (in Italian: Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, INGV) helps improving the health of our Planet, by providing scientific research, monitoring and validation programmes on carbon dioxide (chemical formula: CO2) geological storage, which is the result of the injection of the main man-made green house gas in suitable deep geological structures.
According to the Special Report approved in Montreal last September by the Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), CO2 Capture and Storage (CCS) is an option in the portfolio of mitigation actions for stabilization of atmospheric greenhouse gas concentrations. INGV considers CO2 Geological Storage as one of the most practical emerging technologies for reducing human CO2 emissions to the atmosphere.
The wide implications of the exaustive 650 pages Special Report on CCS by IPCC will be discussed during the 11th Conference of Parties (COP-11) to be held in Montreal from November 28th to December 9th, 2005.
Today, power stations, cement factories, refineries and other heavy industry unwisely and massively emit too much CO2 to the atmosphere. Central heating and automotive transport emit CO2 too, all across the land. This gas is produced by the combustion of huge quantities of natural gas, oil and coal, all of which are fossil fuels. In the long term, all this will cause, and actually already started to cause, climatic changes at global level, including hurricane stenght increase, local desertification, glacier and permafrost melting, and sea level rise.
A solution comes from Earth itself, which is available to safely take back the fossil fuels main combustion product, once captured at large source points. CCS could represent up to 55% of the global effort to reduce CO2 emissions by 2100.
Professor Enzo Boschi, President of INGV, said “INGV actively participated to the 39.4 million Can$ Weyburn CO2 Monitoring & Storage Project, which is co-ordinated by the Petroleum Technology Research Centre (PTRC) of Regina, Saskatchewan, Canada. At the ageing Weyburn oil field, 5000 tons of CO2 are being injected daily since year 2000. The oil field, at the end of the current injection phase, will retain some 25 million ton of man-made CO2 practically for ever. The Weyburn field, infact, is able to retain 99.99% of the injected CO2 gas during the first 5000 years from the injection time”.
“Injecting CO2 in suitable deep geological structures is indeed possible and safe” -said Professor Boschi- “Additionally, CO2 is demonstrated to seal itself underground. In the long term, CO2 reacts with common rock-forming silicate minerals, and becomes a totally stable calcareous cement, or adsorbs on coal better than methane, sealing itself inside the coal”.
Professor Boschi added “INGV is looking into other technologies for CO2 geological storage, such as Enhanced Coal Bed Methane (ECBM) and CO2 injection in Deep Saline Aquifers (DSA). In particular, INGV is progessing talks with PRTC of Regina to jointly implement a world class research project on the ECBM potential of the Sulcis coal basin in the island of Sardinia, Italy. The ECBM Sulcis project will be carried out in co-operation with leading industrial companies, such as Independent Energy Solutions Srl, the first company in Italy for CO2 geological storage, and the local coal mine operator Carbosulcis Spa”.
For further information, call Roberto Bencini
CO2 Geological Storage Adviser to the President of INGV
Tel. (0039)06 45420060, cell. (0039)330 207443, e-mail: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Sonia Topazio
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C.S. del 12 dicembre 2005