Science pubblica una scoperta sulle esplosioni stromboliane

Lo Stromboli esplode ogni 15-20 minuti.
Alcuni studiosi, hanno osservato che queste esplosioni sono spinte da gas che si creano a circa 2-3 km sotto i crateri, formando delle bolle di gas che salgono più velocemente del magma. Quando queste bolle arrivano in superficie, creano un’esplosione. Prima di questa scoperta si pensava che il gas che alimenta le esplosioni si accumulava a 200-300 metri sotto i crateri.
Lo studio è stato pubblicato in queste ore sulla prestigiosa rivista “Science” da un gruppo di scienziati formato da Mike Burton, Filippo Muré, Patrick Allard e Alessandro La Spina, i primi due vulcanologi dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), Patrick Allard vulcanologo del Gruope des Science de la Terre, in Francia, e Alessandro La Spina dottorando in geochimica presso l’Università di Palermo.
In questo lavoro gli scienziati esaminano, il meccanismo che controlla la lieve attività esplosiva di molti vulcani. Questo stile di attività è chiamato “stromboliano”, sinonimo del vulcano Stromboli, spesso chiamato “il faro del Mediterraneo”, dove frequenti esplosioni spediscono roventi scorie rosse volanti a centinaia di metri nell’aria. Tale attività è credibile essere causata dalla salita di un lento movimento di gas dentro il condotto del vulcano, ma fino ad ora ci sono stati pochi vincoli su dove e come si formano questi gas che salgono.
In risposta a questa sciarada, i ricercatori hanno lavorato usando uno spettometro infrarosso per misurare la composizione di gas emessi dalla sommità dei crateri del vulcano Stromboli. Essi hanno misurato in due fasi diverse: un campionamento durante le esplosioni, quindi quando l’anidride carbonica (CO2) è in abbondanza, e altre misure sono state fatte durante la fase passiva di degassamento, quando la CO2 è a bassa concentrazione.
Appena il magma risaliva, venivano fuori soluzioni di gas diversi. Ogni gas ha una differente solubilità, e l’anidride carbonica, cioè il gas meno solubile è venuto fuori per primo, quindi questa osservazione vuol dire che i gas che vengono fuori per primi e che hanno maggiore pressione sono più ricchi in CO2 rispetto a quelli che vengono dopo.
La modellizzazione, la solubilità di alcune specie di gas in funzione della pressione, ha permesso ai ricercatori di determinare meglio la profondità della sorgente dei gas che alimentano le esplosioni a 3 km circa.
Chiediamo al dottor Mike Burton se la loro scoperta potrà aiutare a difendersi meglio dalla sua attività esplosiva, visto che Stromboli è un vulcano che in diverse occasioni ha creato problemi di sicurezza per gli abitanti dell’isola e per i turisti.
Il nostro lavoro aiuta perchè abbiamo vincolato meglio il processo più ovvio, quello delle esplosioni regolari. Speriamo anche che i rilevamenti della composizione gassosa ad alta frequenza può, nel futuro, aiutarci a comprendere ulteriori dettagli sui processi vulcanici.
Quali altri vulcani italiani esibiscono attività di tipo stromboliano e si possono quindi giovare della vostra ricerca?
Negli ultimi anni solo l’Etna ha mostrato attività stromboliana. Il nostro lavoro con lo spettrometro FTIR ha già portato tante informazioni sui processi che vincolano questa attività sull'Etna, e infatti abbiamo già effettuato una pubblicazione sulle fontane di lave dell’Etna pubblicata nel 2005 su “Nature”.
Chiediamo al professor Enzo Boschi, presidente dell’INGV se ci sarà un impatto fra questo studio pubblicato su Science e il lavoro della Protezione Civile.
Si, è in corso un progetto con la Protezione Civile per l’ istallazione permanente di uno spettometro che monitora il clima dello Stromboli.
Nell'eruzione dello Stromboli avvenuta nel Febbraio-Aprile 2007, il sistema di rilevamento del flusso di CO2 emesso dal vulcano, (prodotto di un collaborazione tra INGV Palermo e INGV Catania) ha osservato un segnale che indicava variazioni nel gas emesso da Stromboli prima di un evento esplosivo di maggiore intensità del normale. L’obiettivo adesso è di migliorare ancora di più il sistema di rilevamento e capire meglio i processi che controllano il sistema vulcanico.

Sonia Topazio (Capo Ufficio stampa INGV) Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. 06.51860543
Per maggiori informazioni: Mike Burton Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. 095.7165829


C.S. del 12 luglio 2007


"IL NUOVO RAPPORTO DELL’IPCC RICONOSCE LE SCOPERTE DELL’INGV SULLE EMISSIONI GEOLOGICHE DI METANO"

“L'Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), l'organismo mondiale preposto alla valutazione dei fenomeni riguardanti i cambiamenti climatici, ha finalmente pubblicato il suo quarto rapporto mondiale. Tra le novità, rispetto ai precedenti rapporti, vi è il riferimento a recenti scoperte scientifiche fatte dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV).
L’IPCC riconosce infatti l’importanza degli studi sulle emissioni naturali di metano dalla crosta terrestre, condotti negli ultimi anni dal geologo Giuseppe Etiope della Sezione Roma 2 dell’INGV. Il metano che fuoriesce naturalmente dalle aree petrolifere e geotermiche della crosta terrestre è stato, fino ad ora, il grande assente tra i gas indicati come responsabili dell'effetto serra. Gli studi dell’INGV hanno dimostrato che esiste invece un degassamento diffuso e intenso di metano attraverso le rocce, lungo le faglie, specialmente nelle aree dove esistono giacimenti petroliferi profondi. Le manifestazioni più evidenti di queste emissioni sono i vulcani di fango e i cosiddetti “seep”, fuoruscite di gas a bassa temperatura, in genere metano al 90-99%, che esistono da millenni sui continenti e sui fondali marini.
“Dal 2001 abbiamo analizzato i maggiori seep esistenti in Italia, in Romania, in Grecia e in Azerbaijan, il paese con i più grandi vulcani di fango al mondo, e sono stati misurati sistematicamente i flussi di gas in atmosfera” spiega Giuseppe Etiope, che ha coordinato le ricerche. “Abbiamo integrato i nostri dati con quelli acquisiti negli Stati Uniti (Prof. Klusman del Colorado School of Mines) e con studi atmosferici eseguiti da Keith Lassey del National Institute for Water and Atmospheric research in Nuova Zelanda, uno dei maggiori esperti mondiali di gas serra. Ma una delle scoperte più importanti è quella di una esalazione naturale diffusa e costante su grandi aree nelle zone petrolifere”.
E' risultato che in queste aree l'emissione media annuale è compresa tra 100 e 1000 tonnellate di gas per chilometro quadrato, che l'emissione di gas è strettamente legata a strutture tettoniche attive (faglie) e sembra aumentare con l'attività sismica (un fenomeno noto come degassamento da terremoto). In seguito ai terremoti, i più grandi vulcani di fango si attivano ed eruttano violentemente enormi quantità di metano: in Azerbaijan e Romania alcune eruzioni hanno prodotto fino a centinaia di migliaia di tonnellate di metano in poche ore. In altre aree l'emissione di metano è testimoniata dai cosiddetti "fuochi perpetui", fiamme che si sviluppano naturalmente dal suolo per l'autocombustione del metano. In aree di tettonica attiva, anche molto vaste, in cui è nota la presenza di serbatoi profondi di idrocarburi esiste infine un flusso diffuso e microscopico dal suolo, chiamato microseepage. A ciò si deve sommare il metano emesso dai fondali marini, che ospitano la maggior parte delle riserve petrolifere del pianeta.
La stima della quantità totale di metano che entra in atmosfera si aggira sui 40-60 milioni di tonnellate l’anno, ovvero circa il 10% dell’emissione globale di metano dovuta all’attività dell’uomo e ai processi naturali. Una quantità che è superiore a quella di altre sorgenti di gas serra, come gli incendi, le discariche, il ciclo vitale delle termiti, i processi biochimici in ambiente marino.
Dopo numerose pubblicazioni su riviste scientifiche, queste cifre sono ora riportate anche dall’IPCC.
“E’ il riconoscimento che anche i processi geofisici e geologici del pianeta Terra possono avere un ruolo nei cambiamenti atmosferici e climatici” osserva Enzo Boschi, presidente dell’INGV. “Questi studi dimostrano che il pianeta Terra deve essere studiato nel suo insieme, senza compartimenti stagni, e che in particolare l’atmosfera non è indipendente dalla geosfera, ovvero dalla terra solida. Questo fatto ci obbliga a pensare sempre più in maniera interdisciplinare; il clima e i cambiamenti globali non possono essere studiati solo con i modelli teorici e considerando solo la biosfera e l’attività dell’uomo”.
I risultati dell’INGV sono stati sottoposti al vaglio anche di un progetto finanziato dall’Unione Europea per la rivalutazione delle emissioni di gas serra in Europa. Grazie a questa ulteriore validazione le emissioni geologiche di metano saranno incluse, per la prima volta, anche nel prossimo rapporto Europeo dell’EMEP-CORINAIR, il programma per il monitoraggio e la valutazione degli inquinanti atmosferici.
Intanto, è stato completato lo studio delle manifestazioni metanifere in Italia, in fase di pubblicazione sulla rivista Geophysical Research Letters, secondo il quale le emissioni geologiche naturali di metano nel nostro paese sono dello stesso ordine di grandezza di quelle emesse dall’industria dei combustibili fossili.

Per maggiori informazioni:

Giuseppe Etiope Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. 06.51860394

Sonia Topazio Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. 06.51860543

C.S. del 22 maggio 2007


"L’INGV accoglie ricercatori da tutto il mondo per l’Anno Polare Internazionale "

“ Il 21, 22 e 23 maggio p.v. la sede di Roma dell’INGV accoglierà ricercatori di tutto il mondo per stimolare la cooperazione internazionale nell’ambito dello studio dell’alta atmosfera nelle aree polari. L’idea di questo incontro parte dai ricercatori INGV afferenti al progetto “Upper Atmosphere Observations and Space Weather”, approvato e finanziato dal PNRA (Programma Nazionale di Ricerche in Antartide). Tra gli scopi principali di questo progetto c’è quello di contribuire alle attività scientifiche internazionali previste durante la celebrazione dell’Anno Polare Internazionale 2007-2009. La comunità scientifica che sarà presente in questa occasione rappresenta l’eccellenza dei gruppi internazionali che si occupano dello studio della ionosfera polare sia in ambito scientifico che applicativo. Dell’aspetto applicativo si parlerà diffusamente nell’ambito dei disturbi che la ionosfera polare può causare, durante periodi di tempesta magnetica, sui sistemi di comunicazione, navigazione e posizionamento (GPS o il nascente sistema europeo Galileo). L’incontro prevede la partecipazione di ricercatori sia europei che extra-europei provenienti dal Regno Unito, dalla Finlandia, dalla Polonia, dalla Grecia, dall’Australia, dal Canada, e dal Sud Africa. La prima giornata sarà dedicata alla presentazione degli scopi della riunione, dei gruppi presenti e sarà l’occasione per fare una carrellata sulle azioni che l’Italia e gli altri paesi rappresentati stanno promuovendo per l’anno polare internazionale. Gli altri due giorni avranno un carattere più tecnico prevedendo ampi spazi dedicati alla discussione per la pianificazione delle diverse collaborazioni internazionali.

Per maggiori informazioni:

Lucilla Alfonsi Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. tel. 06 51860524

Giorgiana De Franceschi Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. tel. 06 51860307

C.S. del 15 maggio 2007


Fertilizzazione degli Oceani

La riunione climatica a Bangkok è giunta alle ultime battute ed è gia possibile conoscere alcune parti del documento che sarà approvato domani.
Esso contiene tutta una serie di opzioni tecnologiche dedicate alla cosiddetta mitigazione dell’effetto serra, cioè a quelle tecnologie che possono essere impiegate per ridurre le emissioni dei gas inquinanti.
Un paragrafo del nuovo rapporto è dedicato a quella opzione di mitigazione che gli scienziati definiscono geoingegneria, e che consiste nello sviluppo di tecnologie per rimuovere l’anidride carbonica (Co2) direttamente dall’aria. Fra queste opzioni si parla molto della cosiddetta fertilizzazione degli oceani. Di che cosa si tratta?
" E’ una tecnologia al limite della fantascienza, ma non è detto che in futuro non possa anche questa dare qualche risultato utile - commenta il Professor Enzo Boschi, Presidente dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) - direttamente dalla capitale thailandese.”
In pratica è un trasferimento in acque marine del concetto che le piante in crescita catturano carbonio nella loro biomassa sottraendolo alla Co2 atmosferica. Le piante marine che possono svolgere questo sevizio sono le alghe, in particolare le microalghe che fanno parte del plancton. Se queste microalghe potessero essere rese molto più abbondanti in quegli oceani dove oggi sono molto diradate o quasi inesistenti, esse assolverebbero egregiamente alla loro funzione di estrazione della co2 dall’atmosfera. Di fatto sono stati effettuati alcuni esperimenti spargendo in mare dei composti del ferro i quali costituiscono un nutriente ideale per provocare delle vere e proprie fioriture di microalghe. Tali esperimenti sono stati realizati nelle acque dell’Antartide e nel Pacifico equatoriale, naturalmente a grande distanze dalle coste, per non creare interferenze con gli ecosistemi costieri.
Ancora altri esperimenti di questo tipo, a cui ha partecipato la Professoressa Nadia Pinardi, che attualmente è la responsabile del laboratorio di Oceanografia marina INGV, sono stati effettuati nel Mediterraneo nella zona tra Israele e l’isola di Cipro.
I risultati, tuttavia sono stati finora alquanto controversi, perché se è vero che da una parte si crea una provvidenziale fioritura di alghe aspira-co2, dall’altra si è visto che accorrono i pesci che si cibano di queste alghe. Bisogna dunque trovare un modo per affrontare il problema ed evitare l’assalto alle alghe di organismi marini più evoluti. : “Uno spaventapesci? -scherza Boschi- Magari qualche cosa di più biotecnologico”.
Ma mentre a Bangkok si discute di questi problemi nella terza parte del IV rapporto dell’IPCC, oggi e domani (3 e il 4 maggio), da un congresso organizzato a Bologna da parte del Centro Euro Mediterraneo per i Cambiamenti Climatici (CMCC), giunge la buona notizia che l’Unione Europea ha finanziato con 10 milioni di euro il progetto europeo CIRCE( Climate Change and Impact Research the Mediterranean Environment ). Per quattro anni matematici, fisici, climatologi, agronomi, economisti e informatici lavoreranno tutti insieme, 65 partner, 62 centri di ricerca europei, mediorientali e nordafricani, per studiare l’evoluzione del clima.
“Con questo progetto la ricerca diventa strumento per supportare con i dati scientifici le previsioni di scenari futuri, le azioni di risposta ai mutamenti indotti dai cambiamenti climatici” ci riferisce Antonio Navarra, il climatolo dell’INGV che presiede il Centro Euro-Mediterraneo per i Cambiamenti Climatici (CMCC) e che fa parte della rosa dei 2000 scienziati dell’IPCC autori del rapporto.


Sonia Topazio
Per maggiori informazioni: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. 335.8216561 06.51860543


C.S. del 3 maggio 2007


"I politici ascoltino gli scienziati"

“ Gli scienziati hanno il diritto di svolgere il loro lavoro di ricerca sui cambiamenti climatici senza le pressioni e i condizionamenti dei politici”, è questo il primo commento del Presidente dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) Professor Enzo Boschi alle voci che sarebbe in atto una vera e propria “offensiva diplomatica” per orientare il rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), il Comitato Intergovernativo per i Cambiamenti Climatici, in maniera gradita ad alcuni governi, segnatamente Stati Uniti e Cina, che sono riluttanti ad accettare vincoli sulle riduzioni dei gas serra.
Le pressioni di questi governi, secondo voci non ufficiali, ma insistenti si starebbero manifestando durante i lavori del Working Group 3 dell’IPCC, in corso nella capitale tailandese dal 30 aprile al 4 maggio, con l’obiettivo di redigere il rapporto sulla cosiddetta mitigazione dell’effetto serra.
“Gli scienziati, chiamati dalle Nazioni Unite a dire la loro opinione sulle possibili opzioni di riduzione dei gas serra, devono potersi esprimere in tutta libertà attraverso un confronto, anche polemico che tuttavia si deve svolgere all’interno della comunità scientifica, senza interferenze politiche esterne – chiarisce il presidente dell’Ingv- . Successivamente spetterà ai politici valutare i suggerimenti della comunità scientifica e decidere quali delle opzioni elaborate sono ritenute le più idonee per affrontare il delicato problema del cambiamento climatico. Insomma ognuno deve svolgere il proprio ruolo nel rispetto delle competenze dell’altro. Guai se nella fase di formulazione delle possibili opzioni di mitigazione gli scienziati si lasciassero influenzare dalle pressioni di politici che non gradiscono questa o quella soluzione”.
Entrando nel merito delle questioni tecnico scientifiche il Professor Boschi ha inoltre ricordato l’importante contributo di ricerca attualmente fornito dall’INGV e allo sviluppo di alcuni problemi che riguardano il cambiamento climatico. “Innanzitutto, il nostro Istituto, assieme ad altri è diventato il capofila della più importante organizzazione di studi sul clima dell’area mediterranea, con il neo costituito Centro Euro-Mediterraneo dei Cambiamenti Climatici che è stato ufficialmente inaugurato all’inizio di quest’anno e il cui presidente, il climatologo Antonio Navarra è un dirigente di ricerca INGV, sezione di Bologna”, ha sottolineato Boschi. Inoltre l’INGV ha fatto parte di una vasta collaborazione internazionale che per la prima volta ha dimostrato la fattibilità scientifica dello stoccaggio geologico dell’anidride carbonica catturata da un impianto industriale”. L’esperimento, ha ancora ricordato il Presidente dell’INGV. Si è concluso con successo l’anno scorso a Weyburn, Canada, e prelude a ulteriori prove che saranno effettuate anche in impianti italiani per avviare quella che oggi appare come una promettente opzione di mitigazione dell’effetto serra. “Con nostra soddisfazione la cattura e lo stoccaggio della Co2 sarà inclusa nel documento finale della IPCC fra le tante altre azioni ritenute valide per abbattere gas serra”. E a questo proposito il Presidente dell’INGV si è rammaricato che il governo italiano abbia recentemente sospeso i fondi delle ulteriori ricerche nel settore. “ Mi auguro che si tratti soltanto di una temporanea riflessione in attesa di verifiche di bilancio, poiché rinunciare a disfarsi di ingenti quantitativi di co2 attraverso il suo seppellimento in giacimenti esausti di idrocarburi andrebbe contro lo spirito di quanto indicato dall’IPCC”.

Sonia Topazio
Per maggiori informazioni: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. 335.8216561 06.51860543


C.S. del 2 maggio 2007


CONTRO MICROFRATTURE E TERREMOTI ARRIVA TRIGS

Terremoti, frane e valanghe sono spesso scatenate da perturbazioni simili a quelle che causano il cedimento strutturale o la frattura di materiali e dispositivi alla scala microscopica.

Una frana, per esempio, può essere provocata da un terremoto distante, e la rottura di un macchinario può essere indotta da un momentaneo aumento del livello di sforzo cui è sottoposto. Per ridurre questi inconvenienti arriva Trigs (Triggering instabilities in materials and geosystem), un nuovo progetto di ricerca finanziato dalla Commissione europea.

L’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), partecipa a questo progetto con un team guidato dalla Dott.ssa Patrizia Tosi: “ Nell’Istituto verranno condotti degli esperimenti su campioni di roccia in presenza di perturbazioni esterne, date sotto forma di impulsi meccanici – dice Tosi - per vedere se e come cambia il processo di rottura. Verranno poi cercate delle similitudini tra il comportamento delle emissioni acustiche dei campioni e quello dei terremoti. Questi eventi a scala così diversa verranno studiati, mediante delle analisi statistiche formulate per lo studio dei sistemi complessi, alla ricerca dei fattori che possono influenzare la sismicità”.

E’ noto infatti che in alcuni casi anche perturbazioni di piccola entità, come le onde sismiche create da un terremoto, possono incoraggiare l’occorrenza di altri eventi anche a grande distanza.

Con lo sviluppo di nuovi modelli per le catastrofi naturali, il progetto Trigs aprirà la strada a tecniche migliori per la previsione di rischi geologici e ambientali. Verranno, inoltre, introdotte nuove metodologie per identificare i punti deboli di infrastrutture e dispositivi essenziali per la vita di tutti i giorni.

Trigs ha la durata di tre anni, coinvolge ricercatori del CNR, dell’INFM, e raggruppa prestigiosi gruppi di ricerca nazionali e internazionali quali l’Università di Edimburgo (Regno Unito), l’Università di Grenoble (Francia), l’Univeristà Tecnica di Helsinki (Finlandia) e l’Istituto Federale per lo studio della neve e delle valanghe di Davos (Svizzera).

www.trigs.eu

Per maggiori informazioni:

Patrizia Tosi Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. 06.51860615

Sonia Topazio (Ufficio Stampa Ingv) Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. 06.51860543

C.S. del 19 aprile 2007


L’INGV lancia il concorso per il calendario europeo dedicato all’anno eliofisico internazionale 2007-2008

L’anno 2007-2008 celebrerà il cinquantenario dall’anno geofisico internazionale (IGY, http://www.nas.edu/history/igy/) con una serie di iniziative, tra le quali l’anno polare internazionale (IPY, www.ipy.org), l’anno del pianeta Terra (IYPE, http://www.esfs.org/), l’anno geofisico elettronico (eGY, www.egy.org) e l’anno eliofisico internazionale (IHY, http://ihy2007.org). L’anno geofisico internazionale del 1957-58 si proponeva di favorire un’ampia collaborazione della comunità internazionale su temi scientifici e tecnologici in ambito geofisico. L’IHY, basandosi sul successo ottenuto a seguito di questa iniziativa, estende il concetto di geofisica allo studio del Sole, ponendo l’accento sul ruolo delle relazioni tra il Sole e la Terra come strumento di comprensione dei cambiamenti globali.

L’INGV partecipa attivamente all’Azione COST296: “Mitigation of Ionospheric Effects on Radio Systems” (www.COST296.rl.ac.uk), che si propone di favorire lo studio degli effetti dannosi della ionosfera sui sistemi radio e lo sviluppo e l’implementazione di nuove tecniche di mitigazione di tali effetti. Il COST è una rete europea intergovernativa che favorisce la cooperazione scientifica in un ampio spettro di attività tecnologiche e di ricerca (http://www.cost.esf.org/).

L’INGV si è fatto promotore di alcune iniziative del COST296 da inserire nell’ambito della celebrazione dell’IHY. Tra queste la ormai tradizionale iniziativa della realizzazione del calendario scolastico con disegni fatti da bambini della scuola primaria, è stata allargata ai paesi aderenti all’azione COST296 con il fine ultimo di produrre un calendario europeo che raccolga 25 disegni provenienti da diversi paesi del vecchio continente. L’Italia ha deciso di seguire l’iter già collaudato negli scorsi anni lanciando un concorso dal titolo “Vivere con una stella”, gli altri paesi che aderiscono all’iniziativa seguiranno modalità scelte a livello nazionale. Per guidare e stimolare la fantasia dei bambini sui temi proposti dal concorso sono state realizzate alcune schede di approfondimento disponibili presso il sito:

http://www.ingv.it/settcult2007/Concorso_settimana/Locandina_conc07.html.

Il calendario sarà realizzato in otto lingue e vedrà la presenza di disegni dei bambini italiani, inglesi, ciprioti, cechi, polacchi, francesi, spagnoli e finlandesi.

Ufficio Stampa INGV

Per maggiori informazioni:
Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. - 06.51860277

C.S. del 28 marzo 2007


IL NANSEN A NADIA PINARDI –Ingv-

Nadia Pinardi ha ottenuto la medaglia Nansen per il 2007, il prestigioso riconoscimento dell’European Geoscience Union (EGU).

Il premio le è stato attribuito per aver fondato l’oceanografia operativa nel Mediterraneo, coordinando lo sviluppo scientifico e tecnologico di circa 40 Istituti Europei e internazionali.

Nadia Pinardi è la responsabile, presso l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), del MOON (Mediterranean Operational Oceanography Network), che per il primo al mondo ha introdotto le previsioni del tempo del mare, nello specifico del Mar Mediterraneo.

Nadia Pinardi è anche direttrice del Gruppo Nazionale di Oceanografia Operativa dell’INGV che coordina ENEA, INOGS e CNR, e, assieme all’Aeronautica militare e all’Istituto Idrografico della Marina, organizza il settore dell’oceanografia operativa in Italia per lo sviluppo sostenibile del mare e delle coste.

Nadia Pinardi insegna oceanografia all’Università di Bologna, presso il Corso di Scienze Ambientali di Ravenna. L’INGV e l’Università di Bologna sviluppano assieme il sistema di previsioni del mare che diventerà la componente Europea del servizio di previsioni di tutti i mari Europei, dall’Artico al Mar Nero.

Il sistema di previsioni marine è in grado di controllare lo stato di salute del mare per un più sicuro trasporto marittimo, per essere informati tempestivamente di cosa succede alle macchie di petrolio versate dalle navi prima che raggiungano le coste.

Le previsioni del mare sono consultabili sul sito http://www.bo.ingv.it/mfs

Per maggiori informazioni:
Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. 06.51860515

C.S. del 7 marzo 2007


 Capire il comportamento dei vulcani decifrando i movimenti profondi del magma e tutte le complesse interazioni fisiche e chimiche di questo fluido con la litosfera.


E' questo l'obiettivo del nuovo programma internazionale di ricerca VOLUME, fantasioso acronimo di: 'Volcanoes: understanding subsurface mass movement'.
"Con Volume vogliamo imprimere un'accelerazione alle nostre conoscenze vulcanologiche, integrando dati sismici, gravimetrici, deformativi e geochimici, con lo scopo di costruire dei modelli che possano descrivere in maniera soddisfacente il comportamento dei sistemi vulcanici", spiega Gilberto Saccorotti, sismologo dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (INGV, sede di Pisa) e responsabile nazionale del progetto che coinvolge decine di ricercatori dello stesso Ingv, in consorzio con altre università e enti stranieri (Francia, Spagna,Portogallo, Irlanda, Islanda, Nuova Zelanda).
Delle due grandi manifestazioni distruttive della Terra: terremoti e eruzioni vulcaniche, queste ultime sono ritenute relativamente più prevedibili dal momento che i vulcani, quasi sempre, fanno precedere la loro furia con diversi tipi di segnali premonitori: tremori, sciami sismici, rigonfiamenti dell'edificio vulcanico, apertura di nuove bocche, intensificazione delle emissioni gassose e variazioni della loro composizione chimica. Ma tutto questo ampio spettro di fenomeni cambia da vulcano a vulcano e, anche per lo stesso vulcano, cambia nel tempo poichè dipende dalle complesse interazioni fra i fluidi magmatici profondi che risalgono attraverso i condotti vulcanici e la natura degli strati di rocce attraversati. Di qui la necessità di compiere un salto di conoscenze, mettendo a frutto le esperienze dei vulcanologi e dei geofisici di varie parti del mondo. Ma sentiamo, nei particolari, dal dottor Saccorotti come si svilupperà il progetto.
- Comincerete ad approfondire lo studio sul comportamento di alcuni vulcani rappresentativi, fra i circa 500 attivi in tutto il pianeta?
Si, il primo problema che abbiamo dovuto affrontare è stato quello delle selezione delle aree vulcaniche di maggior interesse.Tuttavia, a fronte delle centinaia di vulcani attivi da te richiamati, solo poche decine sono dotati di reti di monitoraggio in grado di fornire dati utili allo svolgimento delle ricerche proposte. La scelta è quindi ricaduta su 3 aree ben definite: l'Isola di Sao Miguel, nell'arcipelago delle Azzorre, con i suoi vulcani Fogo e Furnas. Poi, l'Islanda, con i vulcani Hekla e Katla. Infine, chiaramente, i nostri Vesuvio-Campi Flegrei ed Etna. E su questi 3 ultimi vulcani è particolarmente mirata l'attenzione del progetto. Grazie ai recenti sforzi dell'INGV, infatti,i nostri sistemi di sorveglianza vulcanica sono in alcuni casi fra i più avanzati del pianeta.
Quali parametri fisici e chimici oggi vi sembrano più affidabili per prevedere un'eruzione?
Con l'avanzamento delle ricerche, ci stiamo accorgendo che, per la predizione dei fenomeni eruttivi, non esiste una combinazione di parametri osservabili universalmente valida. Al momento, quindi, il nostro approccio prevede la raccolta del maggior numero possibile di informazioni che, in maniera rigorosamente quantitativa, vengono poi elaborate per ricavare indicazioni circa lo stato fisico e chimico dei fluidi presenti all'interno dell'edificio vulcanico. Comunque, stiamo guardando con particolare interesse le misure fornite dagli strumenti di ultimissima generazione, quali ad esempio le deformazioni misurate dai dilatometri da pozzo installati nell'area Flegrea, o i dati composizionali delle emissioni gassose misurate in tempo reale sia alla Solfatara (Campi Flegrei) che all'Etna.
-Arriverete, alla fine, a modelli previsionali di un'eruzione che siano attendibili quanto, per esempio, le previsioni meteorologiche a breve termine ?
Sicuramente i tre anni di durata del progetto sono pochi per poter sperare di conseguire un obbiettivo così ambizioso. Inoltre, le nostre conoscenze circa i dettagli della struttura interna della terra sono ancora troppo scarse per poter modellizzare il trasporto sotterraneo di massa in modo robusto e ben vincolato. Tuttavia, considerando la straordinaria qualità delle banche dati a nostra disposizione, e la variegata diversità delle competenze espressa dal team internazionale di ricercatori, sono confidente che -in un futuro molto prossimo- saremo in grado di ridurre in maniera significativa i margini di incertezza sulla previsione dell'attività vulcanica.
-Chi finanzia il progetto e quanto durerà?
Il progetto è interamente finanziato dall' Unione Europea, attraverso il 6° programma quadro. La sua durata prevista è di tre anni, con una conclusione attesa per l'Ottobre 2008.

SONIA TOPAZIO
Per maggiori informazioni:
Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. 06.51860515
Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. 06.51860543 335.8216561


C.S. del 18 gennaio 2007